Disclaimer: Quella che state per leggere non è una recensione del film The Prestige ma una sua analisi fatta da dentro il mondo della magia. Qualche precisazione: non analizzerò in alcun modo la componente tecnica delle illusioni che si intravedono nel film e non svelerò alcun “trucco”. Ciò che analizzerò, invece, sono i meccanismi psicologici che sopravvivono anche oggi tra gli appassionati d’arte magica. Mi soffermerò inoltre sui messaggi che il film lancia, i quali sono validi e calzanti ma meritano, a mio parere, di essere ridimensionati e incorniciati per una comprensione ancra migliore della figura dell’illusionista. Detto ciò, iniziamo.
Il film in breve
The Prestige narra la storia di due illusionisti che vivono nell’Inghilterra di fine Ottocento. I due passano l’intera vita in competizione, arrivando a oltrepassare quei limiti che separano la sana competizione e la più bieca ossessione. Diversi spunti, in tale senso, vengono da vicende storiche che riguardano il mondo della magia e che si sono ripetute più volte nel corso degli anni. Tanto per citare un episodio recentissimo, penso alla “rivalità” fra “i maghi da strada” Dynamo e Criss Angel (anzi, dovrei dire tra Criss Angel e Dynamo!). La storia magica comunque pullula di casi del genere.
Chiariamo subito una cosa: il film The Prestige mi è piaciuto. E molto anche. A differenza di altre pellicole uscite negli ultimi anni, dove la magia era solo un espediente narrativo senza alcuna connessione col mondo dell’illusionismo (es.: “Now you see me – I maghi del crimine”), in The Prestige la magia permea ogni cosa e si respira non nella sceneggiatura, ma soprattutto dai messaggi lanciati dai protagonisti.
Il bacillus magicus
Quello che si evince subito è che la passione che vivono i due maghi protagonisti è totalizzante.
In ambiente magico, fino a qualche tempo fa nelle riviste di settore, prima di Internet, si parlava di “bacillus magicus”, una sorta di batterio che causa “la patologia della magia”. Era un modo affettuoso per descrivere gli appassionati di illusionismo, ma anche un modo potente e calzante per descriverne i comportamenti alquanto bizzarri ed inspiegabili, soprattutto se visti dall’esterno. Questa “malattia” spinge chi ne è colpito a dedicare ogni frammento del proprio tempo alla progettazione del numero perfetto, all’acquisto del gioco che lo renderà famoso o all’allenamento della mossa definitiva. Chi è affetto dal bacillus magicus non può che impiegare ogni secondo disponibile, che sia durante il lavoro – perché con molta probabilità il suo vero lavoro non è quello di illusionista – o nel tempo libero, a fantasticare di vedersi su un palco durante un’esibizione grandiosa. E non solo. Una volta incontrati dei colleghi “di patologia”, ne scaturiscono discussioni fiume, seguite a esibizioni a turno, riguardo quale tecnica, manipolazione o variazione su un tema sia più illusiva o efficace sul pubblico. In realtà, e questa è la cosa più curiosa, come detto prima la maggior parte degli affetti da bacillus magicus non sono un maghi di professione e poco sanno come si gestisce un vero pubblico, ma praticano magia più che altro per compiacere se stessi.
Questione di abilità
I due protagonisti del film, “il Professore” e il “Grande Danton”, hanno delle particolari abilità. Il primo è bravo a creare gli effetti magici; il secondo a metterli in scena. Il film, seppur in modo non palese, fa intendere che il migliore dei due sia il Professore.
Lasciatemi però fare una specifica: a mio parere, un bravo illusionista dovrebbe essere la fusione dei due.
Un bravo illusionista deve possedere un arsenale di abilità strettamente tecniche, da scegliere ed utilizzare con maestria nel momento opportuno, ma anche grandi competenze e abilità nella comunicazione in scena.
Un bravo illusionista dovrebbe essere quindi capace se non a progettare da zero, a modificare un numero a tal punto da renderlo proprio, ma al contempo deve avere anche la capacità – e questa è una dote importante quanto la precedente – di mettere in scena quel numero, creando la giusta tensione, affascinando e intrattenendo il suo uditorio. In altre parole a renderlo spettacolare agli occhi di chi guarda (in gergo deve saper “presentare” l’effetto). Altra cosa curiosa: questo è concetto su cui, virtualmente tutti i maghi sono tutti d’accordo a parole, ma che pochissimi sanno mettere in pratica (forse perché richiede di studiare materie che non sono stimolate dal bacillus magicus).
Non mi trovo quindi d’accordo sul prediligere nettamente il Professore.
La dedizione
Entrambi i personaggi dimostrano rispetto e dedizione nei riguardi della magia, anche se poi questa dedizione si trasformerà ben presto in ossessione. Ovviamente, ognuno dei due porta avanti la propria dedizione in maniera differente, dando lustro alla propria abilità: quella di progettare da un lato e quella di mettere in scena dall’altro. L’obiettivo è però lo stesso: strabiliare il pubblico con l’esibizione perfetta (un altro sintomo classico del bacillus magicus). E, possibilmente, essere il migliore di tutti i tempi. Il guadagno non è infatti lo scopo ultimo dei protagonisti.
La dedizione estrema, la ricerca della perfezione tecnica e la cura dei particolari sono caratteristiche che personalmente apprezzo molto e che credo debbano caratterizzare un vero artista. Esiste di contro, sul mercato dell’intrattenimento, la figura del “mestierante” nella sua più bassa accezione: un intrattenitore che invece si limita a sfruttare qualche superficiale competenza, magari copiando di sana pianta testi ed effetti di colleghi, per acquisire un vantaggio di qualsiasi tipo (economico o di status).
Inseguire il segreto
Una volta inseguire il segreto “più segreto”, o progettare il sistema inesplicabile, poteva essere il fine ultimo dell’illusionista – cosa che ancora oggi attira molto i maghi amatori, e cosa che in realtà ossessiona i protagonisti del film. Personalmente non ritengo un fattore fondamentale per essere un grande illusionista. D’altra parte il mondo degli illusionistì è pieno di eccelsi “creatori” di giochi che non sono poi dei perfomer all’altezza delle loro creazioni.
Viviamo inoltre in una società in cui i segreti, soprattutto con la globalizzazione, non sono più tali. Se vogliamo, scoprire “il sistema”, rmai è cosa relativamente semplice e, ahimè, alla portata di tutti. Non c’è nulla che non si possa apprendere o acquistare con qualche clic. Questo mi porta a sostenere che più che il sistema, dunque il segreto, è fondamentale l’esecuzione. Il modo con cui si sale sul palco e si mette in scena la performance. Ciò che conta davvero è l’esperienza vissuta dal pubblico, mentre per molti l’inseguimento del segreto diventa il motore e il limite.
Lo dimostra anche uno dei due protagonisti del film che passa la vita cercando di carpire il segreto dell’altro, mentre questo segreto era svelato sin dall’inizio.
L’applauso finale
In una bellissima, e per me emozionante, scena del film uno dei due protagonisti non può godersi l’ovazione finale del pubblico dopo il suo spettacolo di magia e ne soffre molto. Chi fa questo lavoro può capirlo a pieno. Quello è il momento che ogni vero e appassionato performer sogna e attende con ansia e non c’è compenso che possa gratificare un professionista più di uno scrosciante, pieno e sentito applauso.
L’applauso finale per un vero artista è davvero un momento, anzi “il momento”, che racchiude lo scopo ultimo di sale sul palco per passione, per amore.
L’applauso finale è il riconoscimento più ambito. Quello per cui c’è chi arriva, come i protagonisti del film The Prestige ed ogni vero professionista, a dedicare la propria vita in funzione di una manciata di minuti in scena.
Sipario.